
Dalla finestra si vedeva bene la vallata, con ancora il suo manto verde e in lontananza la forza di mille arbusti che donavano sicurezza al terreno e alla stessa vallata, sembravano voler essere le scarpe di quelle montagne imponenti che improvvisamente spiccavano da tutto quel fogliame con le loro vette rocciose; al centro della vallata la chiesetta con il suo campanile sembrava essere disegnata mentre in realtà era vera e reale.
Quella domenica il cielo era terso e di un azzurro intenso.
Si accomodò allo scrittoio posto proprio di fronte alla finestra, scostò la tenda per poter deliziare la vista di quell’incanto, bevve un sorso di thè lasciando vagare lo sguardo per un tempo indefinito, completamente assorta nei suoi pensieri.
Non era più giovane, oramai. Il nero corvino dei suoi capelli aveva lasciato il posto ad alcuni fili grigi che pian piano divennero sempre più folti fino a trasformare la capigliatura, da una lunga chioma bruna ad un corto taglio “sale e pepe”. Gli occhi, verdi e profondi, si nascondevano dietro un paio di occhiali dalla montatura sobria. Occhiali che tuttavia non riuscivano a celare o a nascondere minimamente la profondità, nonché la vivacità di quello sguardo.
Il viso portava i segni del tempo che era passato. Ma lei non si rammaricava per questo.
Era una donna forte, concreta, non sufficientemente attenta all’estetica o all’esteriorità delle cose. Certo, una sufficiente dose buon gusto era d’obbligo, ma per lei tutto si risolveva e poteva racchiudersi nel classico concetto della “bella presenza”. Una bellezza semplice, ordinata, composta.
Aveva da poco compiuto sessant’anni e da ormai dieci si era ritirata in quella baita sui monti, fuori dal paese di Santa Gertrude, dove, solitamente, in estate, riceveva molteplici ospiti. Soprattutto le sue amiche più care, quelle di sempre, quelle con le quali ha condiviso tutta la sua vita. Non aveva fratelli, né sorelle. I suoi parenti più stretti erano quei pochi amici che amava come fossero fratelli. Non aveva nemmeno un compagno accanto. Non più.
Quella domenica stava riflettendo proprio su questo: gli uomini della sua vita.
Si era innamorata tre volte nel corso della sua vita, o forse due volte e mezzo. La prima fu quando era ancora giovanissima. Lui, un ufficiale dell’aeronautica militare, era un gran bel ragazzo, intelligente e sensibile. Fu la relazione più lunga che ebbe. Si sposarono entro poco tempo, in una bellissima e soleggiata domenica di ottobre. Una cerimonia semplice, rito civile, loro due, i genitori ed i testimoni. Non avevano bisogno d’altro. Fu un grande amore. Poi, chissà per quale scherzo del destino, l’incanto di quell’amore svanì improvvisamente ed il matrimonio finì. Ma lei portò dentro di se sempre il ricordo di quel sentimento così puro, immacolato e innocente.
Successivamente conobbe il secondo marito. Si sposò senza esserne pienamente convinta, ma era un escamotage per potersi strappare dall’anima l’ossessione del suo primo amore e per farsi curare quelle ferite che da sole non riuscivano a rimarginare. Fu un completo fallimento. La diversità dei caratteri e del modo di concepire la vita aveva dato adito ad una serie interminabile di discussioni trascinate per troppi anni, al punto che, quando anche quel matrimonio si risolse in un divorzio, lei si chiuse in se stessa.
Aveva bisogno di stare sola per riuscire a guardarsi dentro e capire cos’avesse che non andava. E così trascorse un lungo periodo sola, senza la compagnia di un’anima gemella. Anche se il ricordo del suo primo amore era sempre lì a farle compagnia. Del resto non si erano mai persi di vista, anche perché negli ultimi anni lui aveva incontrato non pochi problemi di salute e lei, ovviamente, voleva stargli vicino.
Un giorno conobbe Arturo. Uno “straniero” nel senso che veniva da un'altra regione. Trasferito da poco in Val d’Ultimo alla ricerca dei veri sapori semplici della vita. Una sorta di ritiro spirituale, le aveva detto. Si conobbero un pomeriggio alla vendita di beneficenza organizzata dall’Associazione di Volontari della Parrocchia della quale lei era socia fondatrice.
Arturo la colpì per la grande nobiltà d’animo che faceva di lui una persona unica, speciale, al di sopra della media. Era, inoltre, in uomo molto colto, che sapeva ascoltarla, stimolarla. Fu – forse – proprio questo che la fece innamorare. Con lui si aprì completamente e contemporaneamente aprì a lui il suo cuore. Arturo fu il suo ultimo amore. Quello per il quale aveva rimesso in gioco tutta se stessa, per cui sarebbe andata anche in capo al mondo se solo fosse stato necessario. Aveva finalmente guarito le vecchie ferite e si sentiva pronta ad iniziare una vera e seria relazione con lui.
Ma le cose non andarono proprio secondo quanto lei aveva desiderato. Ebbero una breve ma intensa relazione terminata tra sofferenze ed insulti che lasciarono più amaro di quanto avrebbero dovuto. Arturo era stato anche l’uomo che le aveva donato la gioia della maternità, o forse è meglio dire la gioia dell’illusione di maternità poiché per ben due volte si trovarono a fare i conti con falsi allarmi ed una volta persero quel bambino che lei desiderava più di ogni altra cosa al mondo.
Ora era sola. Ma non si sentiva sola. Il ricordo di quei tre uomini e le esperienze vissute negli anni le facevano compagnia in quella domenica di inizio inverno. Ripensava ai rapporti che aveva attualmente con loro. A come si erano sviluppate le situazioni nel corso degli anni. Era rimasta in contatto con tutti e tre. Di ognuno sapeva tutto e di ognuno era confidente di gioie e dolori.
L’ufficiale aveva lottato contro il suo male, ma non ci fu nulla da fare: non riuscì a vincere. La sua troppa sensibilità d’animo lo portò ad una depressione che fu deleteria per la malattia che lo aveva colpito. E senza più avere la forza di lottare si lasciò andare spegnendosi pian piano.
Il secondo marito era diventato padre di due splendide ragazze e la prima delle due stava per laurearsi in giurisprudenza. Aveva sposato una donna speciale, con la quale divenne addirittura amica e tutti e quattro, ogni anno, trascorrevano almeno una settimana di vacanza nella sua casa-rifugio.
Il terzo, Arturo, lo perse di vista per un po’, non voleva avere contatti con lui per riuscire a superare l’ennesimo fallimento di una relazione. Un fallimento che le provocò un immenso dolore. E così fu per parecchio tempo. Quell’uomo le era entrato dentro come nessun altro aveva fatto. Si era resa conto che l’amore che provava per lui era un amore diverso. Forse un amore “maturo”, fatto non di fuori divampanti, ma di una brace che ardeva pian piano scaldando con costanza il suo cuore. Fu lui a cercarla di nuovo, quando le acque si erano calmate e lei non soffriva più per lui. Anche lui ora aveva al suo fianco una donna che forse era la donna giusta per lui. Capace di capirlo e di far collimare le proprie esigenze alle sue. Insomma, avevano trovato il giusto incastro. Quello che lei non era riuscita ad instaurare.
E lei era lì sola. O meglio: sola in compagnia delle sue esperienze e dei suoi ricordi e con una nuovo dubbio: a cosa era servita la sua esistenza fino a quel momento? Ad insegnare a tre uomini cosa significa “stare con una donna”? Ad insegnare a tre uomini come sbagliare per imparare, poi, dagli errori fatti? Tutti, dopo di lei, avevano trovato l’Amore vero, quello che costruisce. E lei? Perché, nel frattempo era rimasta sempre sola? Ma, soprattutto, perché mai ognuno di quei tre uomini continuava a cercare lei, a rivolgersi a lei in qualità di amica e confidente? Cosa aveva lasciato lei in quei tre uomini? Cosa pensavano, come la vedevano? Sapeva che tutti e tre provavano un grande affetto per lei, così come lei ne provava per loro, ma si domandava se mai loro, almeno una volta, si erano chiesti “…e se …”
Con quell’interrogativo malinconico si strinse nel cardigan che aveva sulle spalle e bevve l’ultimo sorso di thè mentre da lontano iniziarono a suonare le campane della chiesetta al centro della vallata.