Bisogna saper rinunciare a volte. E non intendo dire, con questo, che rinunciando ci arrendiamo ad una realtà diversa, intendo dire che probabilmente rinunciare significa lasciar andare qualcosa che non è essenziale, per poter dedicare tutte le nostre forze all’amore per noi stessi.
Dedicare tempo ed energie ad un amore da coltivare e che spesso dimentichiamo di curare, ovvero il nostro. Se vogliamo ottenere ciò che è veramente e realizzare qualcosa, allora dobbiamo saper rinunciare. Non è questione di fare qualcosa solo perché è bene fare così.
Rinunciare a volte è un atto d’amore, sia verso se stessi che verso il prossimo. Potrebbe sembrare una perdita, ma in realtà è un arricchimento. Il nostro “ io “ ne uscirebbe arricchito. Certo si tratta di un atto doloroso e sgradevole e a volte ci si potrebbe chiedere perché farlo? Ma il cuore dovrebbe venire in nostro aiuto e ricordarci che ci sarà qualcosa da ottenere in prospettiva. Se la rinuncia è allontanarsi da qualcosa che non è indispensabile nella nostra vita la contropartita dovrebbe essere il benessere che deriva dal distacco da questa cosa che non ci serve e dedicarsi alla nostra anima proiettandoci verso noi stessi per curare e mettere in ordine ciò che quell’esperienza ci ha insegnato. Un po’ di introspezione a volte non guasta, fermarsi e guardare dentro di se, esplorare quello che il cuore ci vuol comunicare, capire come e quanto sta soffrendo e perché; fermarsi, concentrarsi, trovare la giusta calma per studiare noi stessi a fondo ed essere pronti ad accettare tutto quello che ne uscirà da questa ricerca profonda. Rinunciare a qualcosa o a qualcuno non sempre è segno di perdita. A volte è la possibilità di capire cosa ci accade in profondità, capire se ci sono errori, metabolizzarli ed affrontarli, perché solo affrontandoli si potrà, poi, riuscire a cambiarli e a risolverli. Non si tratta di egoismo, si tratta solo della necessità di conoscere meglio noi stessi e di imparare dagli eventuali errori per evitare di commetterne altri in futuro. È questione di saggezza.
Come dice il Buddha nel Dhammapada, è la saggezza che ci spinge ad abbandonare una felicità inferiore per avere quella superiore. Perciò se il cuore aspira a un giusto benessere, non a spese di altri o a spese del pianeta, ma un benessere che sorge in quel cuore che vive in armonia con le cose così come sono, allora è giusto che abbandoniamo alcune piccole esperienze di benessere, di felicità.
Forse abbiamo abbastanza saggezza da permetterci questi gesti di rinuncia, ma quando la rinuncia comincia a produrre il suo effetto e iniziamo a vedere noi stessi sia dal lato positivo che negativo, forse allora potremmo cominciare a dubitare.
Dedicare tempo ed energie ad un amore da coltivare e che spesso dimentichiamo di curare, ovvero il nostro. Se vogliamo ottenere ciò che è veramente e realizzare qualcosa, allora dobbiamo saper rinunciare. Non è questione di fare qualcosa solo perché è bene fare così.
Rinunciare a volte è un atto d’amore, sia verso se stessi che verso il prossimo. Potrebbe sembrare una perdita, ma in realtà è un arricchimento. Il nostro “ io “ ne uscirebbe arricchito. Certo si tratta di un atto doloroso e sgradevole e a volte ci si potrebbe chiedere perché farlo? Ma il cuore dovrebbe venire in nostro aiuto e ricordarci che ci sarà qualcosa da ottenere in prospettiva. Se la rinuncia è allontanarsi da qualcosa che non è indispensabile nella nostra vita la contropartita dovrebbe essere il benessere che deriva dal distacco da questa cosa che non ci serve e dedicarsi alla nostra anima proiettandoci verso noi stessi per curare e mettere in ordine ciò che quell’esperienza ci ha insegnato. Un po’ di introspezione a volte non guasta, fermarsi e guardare dentro di se, esplorare quello che il cuore ci vuol comunicare, capire come e quanto sta soffrendo e perché; fermarsi, concentrarsi, trovare la giusta calma per studiare noi stessi a fondo ed essere pronti ad accettare tutto quello che ne uscirà da questa ricerca profonda. Rinunciare a qualcosa o a qualcuno non sempre è segno di perdita. A volte è la possibilità di capire cosa ci accade in profondità, capire se ci sono errori, metabolizzarli ed affrontarli, perché solo affrontandoli si potrà, poi, riuscire a cambiarli e a risolverli. Non si tratta di egoismo, si tratta solo della necessità di conoscere meglio noi stessi e di imparare dagli eventuali errori per evitare di commetterne altri in futuro. È questione di saggezza.
Come dice il Buddha nel Dhammapada, è la saggezza che ci spinge ad abbandonare una felicità inferiore per avere quella superiore. Perciò se il cuore aspira a un giusto benessere, non a spese di altri o a spese del pianeta, ma un benessere che sorge in quel cuore che vive in armonia con le cose così come sono, allora è giusto che abbandoniamo alcune piccole esperienze di benessere, di felicità.
Forse abbiamo abbastanza saggezza da permetterci questi gesti di rinuncia, ma quando la rinuncia comincia a produrre il suo effetto e iniziamo a vedere noi stessi sia dal lato positivo che negativo, forse allora potremmo cominciare a dubitare.
Saggezza, ma siamo saggi?
RispondiEliminaCome ha detto Ajahn Munindo: “E’ la saggezza che ci spinge a fare un gesto di rinuncia. Il cuore sente il bisogno di comprendere questo corpo estraneo che opera nella nostra psiche, e che assorbe tutte le nostre energie. Non è una pura affermazione di giudizio che dice: "Non devo essere egoista". Vogliamo andare oltre, ottenere quella libertà di prospettiva, quella chiarezza di visione in cui possiamo smascherare l’impostore che ci viene a dire "’Io’ sono responsabile di questa esperienza". Vogliamo vedere ciò che sta accadendo in modo chiaro, per non esserne più ingannati.”
/…
“La rinuncia è dolorosa, è sgradevole. Non ce la sobbarchiamo a meno che non ci sia qualcosa in prospettiva da ottenere. Ciò che sta dietro all’impegno dei precetti di rinuncia è il riconoscimento che "devo farlo". E’ il cuore che lo afferma; il cuore deve riconoscere questo "io" per quello che è.
Ma adesso come adesso puoi applicare questi concetti come “arricchimento dell’”io” e il benessere per noi stessi e per gli altri”? Ti faccio un esempio forse banale, ma quante persone rinunciano a buttare la mondezza nel cassonetto sotto casa invece di fare 200 metri e buttarla nei cassonetti differenziati? Beh si contano sulle dita di una mano!
ma la rinuncia può portare ad avere un rimorso o un rimpianto???
RispondiEliminaScusa se rispondo adesso, ma la rete dei computer è saltata venerdì mattina e solo adesso ho potuto riattivarla.
RispondiEliminaPotrei rispondere rimpianto, ma mi darebbe la sensazione di non averci provato per paura di un cambiamento; dire invece rimorso te lo porteresti a presso sempre, però ti servirebbe per non sbagliare di nuovo.
Molto controversa!